SHALL I COMPARE THEE TO A SUMMER'S DAY?

WILLIAM + ALISTAIR - DC

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    William Shakespeare
    30yo - umano - drammaturgo - scheda
    L'uomo trasse un lungo sospiro, guardando il gentiluomo di fronte a sé con aria lievemente contrita.
    «Ser Philip, vi prego di perdonarmi» ormai sapeva le parole a memoria, tante erano state le volte che aveva reclinato il gentile invito di un messere «ma non sono mai stato un ottimo animale sociale» vagamente sprezzante, al ricordo di quegli scrittori da quattro soldi che pur di un po' di fame presenziavano ad ogni ricevimento con abiti stucchevoli e parole noiose. No, William non era mai stato quel tipo di uomo, e da bravo osservante non amava i vizi che trovavano covo proprio durante gli eventi nelle case dei più ricchi messere londinesi. Non era lì per fare quella vita, il suo unico scopo a Londra era di ottenere ingaggi e popolarità ma non certo fra gentiluomini di così poco conto - senza togliere niente al casato dei Henslowe… ma William puntava a ben più nobili famiglie, come quella della regina.
    Tuttavia sapeva di peccare di superbia con tali desideri, Dio avrebbe punito una simile arroganza se l'uomo non fosse stato accorto - e per questo motivo non gradiva andare contro alla volontà divina presenziando a sciocchi eventi privati solo - per di più - per essere sfoggiato: la celebrità del momento nella casa del facoltoso ser Philip Henslowe, una cosa a dir poco nauseante.
    «Suvvia messere, non vi avrei invitato se non fossi certo che persino una personalità sfuggente come la vostra troverà piacere nel presenziare al mio ballo» i balli, poi, erano la cosa che William odiava più in assoluto. In quel momento stava in piedi, braccia lungo i fianchi, il petto gonfio, davanti alla scrivania del gentiluomo inglese - seduto, a muovere le mani nei suoi discorsi - agli occhi di William totalmente vani - con fra le dita di una un'elegante pipa in mogano. Il tabacco era una scoperta recente, ma i nobiluomini inglesi ne avevano fatto subito uno dei propri modi per sfoggiare le loro immense ricchezze.
    William non era così. Storse il naso, fingendo di star riflettendo sulla proposta: naturalmente la risposta restava "no" nella sua testa, ma le insistenze dell'altro lo portarono quanto meno a fingere indecisione. Non voleva essere scortese, doveva decisamente troppo a quell'uomo per lasciarsi trascinare dalla propria accidia. «Onestamente, per quanto apprezzi il vostro invito, temo di cuore di non essere una compagnia adatta a ricevimenti» tentò di nuovo, cercando di cancellare tutta quella noiosa discussione con l'auto-critica e un'adeguata consapevolezza dei propri limiti.
    Gli altri erano il suo limite, quel limite invalicabile che William avrebbe di cuore non voluto mai trovarsi a dover superare - e sperava di cuore che anche gli altri la pensassero così. Eppure ogni tanto nella sua vita spuntavano quelle strane incognite, come Ser Henslowe, che sembravano godere dell'invadere i suoi spazi e metterlo sempre in stato di perenne angoscia e ansia… alla sua veneranda età, si sentiva inseguito dai cani come una lepre ansiosa.
    L'uomo di fronte a lui sorrise, allargando le braccia con fare generoso e da magnate - un atteggiamento che a William ricordava sempre quanto fosse moralmente impegnato con l'uomo di fronte a sé «mio caro William… volete dirmi che non gradirete di una visita la mia casa, al ballo in onore dei festeggiamenti per mia moglie? Dopo tutto quello che mi sono premurato di farvi avere…» ecco, nemmeno a doverlo dire. L'uomo si trovò a fissare l'altro senza sapere cosa dire: le labbra serrate in modo nervoso, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi. Quindi quella era la condizione di schiavo? Il dipendere totalmente dalle richieste dei propri mecenati - quei favori richiesti con false cortesie. Si trovò di fronte ad un vicolo cieco, il troppo stanco William Shakespeare, per continuare a trovare scuse funzionali - del resto, Henslowe avrebbe insistito fino a farlo cedere sulle proprie ginocchia.
    «Mi onorate di così tanto interesse. Vedrò di passare per un saluto a vostra moglie» e dopo aver stretto il cappello un'ultima volta, si inchinò e fece per uscire, mentre Henslowe lo ringraziava ed elogiava continuamente, salutandolo sull'uscio «datemi la vostra parola… e mi raccomando, non dimenticate il travestimento!» William si chiuse la porta alle spalle, scese la lunga scala fino al salone principale e si lasciò accompagnare fuori dalla tenuta da un servitore. Attraversato poi il selciato fino alla carrozza, batté un pugno sulla portiera laccata, risvegliando il distratto cocchiere - che dopo averlo guardato vagamente perplesso gliela aprì per farlo sedere e partire al trotto.

    [ sera del ballo ]


    Lui lo sapeva che non era fatto per quelle occasioni. Eppure sembrava che al resto del mondo non fregasse proprio niente. Si trovava spesso a sospirare, mentre indeciso sostava nella carrozza - mani con le dita intrecciate, i gomiti appoggiati pigramente sulle ginocchia - costringendo la schiena piegata in avanti in posizione contemplativa. Osservava quella maschera che aveva comprato il giorno stesso per quel maledetto ballo, ripetendosi quanto fosse stupido un simile evento. Solo una persona piena di sé poteva organizzare un ballo in maschera, e invitare metà delle personalità celebri di Londra… per origini o meriti. Lui naturalmente faceva parte dei secondi, ma questo forse lo faceva sentire più fuori posto, che non un gentiluomo circondato da pari.
    Sentiva una strana soggezione, e l'idea di non sapere chi avesse davanti lo innervosiva… ma del resto, c'era da dire che ogni maschera aveva due lati, e se uno non gli permetteva di vedere con chi stesse interloquendo, l'altro nascondeva - parzialmente - la sua identità, rendendolo uno in mezzo ai tanti. Forse avrebbe ottenuto più risposte sincere presentandosi col viso coperto, che non facendo il suo solito ingresso trionfale.
    «Che sciocchezza» i minuti scorrevano veloci, eppure le carrozze non smettevano di fermarsi davanti alla tenuta di Ser Henslowe lasciando scendere i misteriosi ospiti: nessuno voleva rovinarsi il travestimento rischiando di farsi riconoscere prima di indossare la maschera… e forse avrebbe dovuto fare altrettanto… ma al diavolo!, era solo l'ennesimo sciocco evento sociale, a cui era stato moralmente costretto a partecipare.
    Dunque prese la maschera, uscì dall'abitacolo della carrozza e si guardò attorno pensieroso, per poi pagare la carrozza e dirigersi a passo spedito verso l'ingresso. Tuttavia alcune nobildonne accompagnate da gentiluomini che sostavano all'ingresso iniziarono a sussurrare e fissarlo, e nuovamente l'angoscia salì, formando un grosso nodo proprio alla gola. Al diavolo tutto, forse se avesse indossato quella maschera nessuno avrebbe fatto troppo caso a lui: con tutti gli invitati travestiti, saltava subito all'occhio "l'uomo senza maschera", e fermandosi qualche passo prima dell'ingresso, attirò l'attenzione di un giovanotto - probabilmente lì per tenere d'occhio i cavalli delle carrozze «giovane, aiutami con la maschera» il ragazzotto annuì, agitato ma sicuro di sé, e legò dietro la testa di William il nastro della maschera, fissandola sul suo viso. Naturalmente l'uomo nell'indossare una simile pagliacciata si sentì vagamente perso, a disagio e - per forza di cose - anche pentito. Di ogni cosa: dall'aver accettato quell'invito e comprato la maschera, ma sino ai propri esordi, quando aveva accettato il denaro e l'aiuto di Ser Henslowe. Forse non sarebbe mai divenuto un drammaturgo famoso, o non avrebbe mai visto inscenata una sua opera… ma almeno avrebbe potuto evitare tutte quelle pagliacciate atte solo a voler mostrare la notorietà e la ricchezza di un singolo uomo.
    Sbuffò dunque, ma si rese ben presto conto che gli sguardi ora erano meno insistenti, più fugaci: come se - non riuscendo a riconoscere il volto - alla fine l'interesse svanisse parzialmente, e donne e uomini preferissero concentrarsi su coloro che avevano riconosciuto e approcciato. Meglio così. William si trovò a sperare di poter andare avanti così tutta la serata… ma già sapeva che quel maledetto di Ser Henslowe lo avrebbe cercato e presentato a tutti. Dannazione, lui e la sua maledetta parola - avrebbe dovuto imparare a mentire, pur di cavarsela in queste situazioni.
    Entrò quindi dallo scalone principale nell'ampio salone, illuminato da candele di ogni forma e già pieno di invitati con calici alla mano. L'aria era suntuosa ed elegante, ma William si sentiva ugualmente mancare in mezzo a tutta quella gente: abiti abbondanti e con strascichi, maschere di ogni tipo - gli pareva di stare ad un imbarazzante carnevale… ma pazientemente cercò di recuperare qualcosa da bere e di trovare Ser Henslowe e moglie, in modo da porgere i propri saluti e scappare il prima possibile da quel circo.

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    Alistair Dorian Moore
    23yo - umano - commerciante - scheda
    « Ho saputo da mio fratello che l'ultimo carico di vino arrivato dall'Italia è piaciuto molto a vostra moglie, Sir... » La sua voce era roca, il tono basso mentre con un movimento leggero del polso si avvicinava alle labbra una finissima tazzina da thé in porcellana. La signora Henslowe aveva sempre avuto buon gusto, forse un po' troppo pacchiano per i suoi gusti, ma in fin dei conti chi era lui per giudicare ciò che la famiglia reale promuoveva come moda. Socchiuse gli occhi scuri per godersi al meglio l'aroma fruttato della bevanda, inspirandone il profumo intenso. Gli affari non erano sempre andati così bene, se la fortuna gli aveva baciati con così tanto affetto lo doveva soprattutto a persone come Philip Henslowe: interessati a tutto ciò che il mondo avesse di nuovo da offrire, con il giusto occhio per le cose di valore ma capaci di concedersi qualche sgarro. «Oh si, moltissimo a dire il vero. Si è vantata dell'acquisto perfino con i commensali ospiti ieri sera... Potrebbe aver accidentalmente dato loro il vostro nome, amico mio... spero non vi rechi disturbo!» Alistair sorrise con garbo alla preoccupazione del Sir, negando con un leggero movimento della testa che fece ondeggiare appena i suoi capelli scuri.
    C'era da dire che Alfred si stava impegnando davvero tanto nell'attività commerciale che i fratelli gestivano insieme, se lui non avesse fatto bene la sua parte dal punto di vista della gestione economica sarebbe stato tutto vano. E faceva parte del suo lavoro conoscere le abitudini dei clienti, compresa la passione per i vini e l'allegra parlantina della signora Henslowe, quindi perché non sfruttarla a fin di bene? In fin dei conti, ogni persona con cui si era vantata poteva essere un futuro cliente, cosa poteva esserci di male se dava il loro nome a qualche amico, faceva parte della buona pubblicità. «Ci mancherebbe, Sir... sono certo che la vostra signora non potrebbe mai creare disturbo nemmeno con la volontà di farlo.» Il primo a ridere di quella piccola battuta fu il padrone di casa, mentre il ragazzo accennò un sorriso divertito senza scomporsi troppo. Voleva essere un complimento simpatico, della stessa valenza che aveva il dono che aveva portato con sé. "Trattar sempre gli altri con garbo e rispetto, se son ciò che si vuol ottenere da loro." era solito dire suo padre, ma senza esagerare significava semplicemente trattar bene le persone se si vuole essere trattati con riguardo a propria volta. «A tal proposito... Mi sono permesso di far scaricare alla servitù un piccolo presente in vista della nuova spedizione. Giusto qualche bottiglia da assaggiare, nuovi aromi per le vivande, e qualche polvere di tabacco essiccato per il vostro relax... Con la speranza che possano essere di vostro gradimento, in segno di amicizia ovviamente.» L'uomo parve molto entusiasta della notizia, mandando a chiamare la servitù tra un ringraziamento e l'altro, rivolgendo poi indicazioni al personale su dove e come sistemare le varie vivande in casa. Il tabacco era personale, sia mai che finisse tra le mani della signora. Lo lasciò organizzarsi, bevendo l'ultimo sorso di quel buon thé nero di cui conosceva ogni proprietà essendone l'importatore, tranquillizzando nel mentre l'uomo che continuava a ringraziarlo.
    «A questo punto, non posso far altro che sperare che possiate venire al ballo in onore di mia moglie! Ve ne avevo già parlato tempo addietro e capisco i vostri impegni, ma so che lei e le sue amiche sarebbero felici di poterla vedere questo sabato... anche vostro fratello Alfred, ci mancherebbe!» Finse si essersi dimenticato dell'evento quando l'uomo gli fece presente di averglielo già accennato, pensandoci qualche istante prima di posare la tazzina ormai vuota sul suo piattino con delicatezza. Certo che ci sarebbe stato, e vi avrebbe trascinato anche il maggiore, ma era cosa buona farsi desiderare almeno un po'. Presenziare ad ogni evento mondano faceva parte del sapersi vendere bene, tanto quanto intrattenere buoni rapporti coi clienti, chi più intimi di altri... ma riguardo questo aspetto vi avrebbe pensato lui. Ma certamente, Sir... Lo farò presente a mio fratello ma ci vedrete senza alcun dubbio al vostro ballo con molto piacere. Accettò dunque l'invito con garbo, facendo per alzarsi dalla seduta. Come incontro era stato proficuo e interessante, come sempre a casa Henslowe. La servitù porse bastone e cappotto al ragazzo, che tra le raccomandazioni e i ringraziamenti del Sir si avvicinò alla porta per uscire, congedandosi con gentilezza. Mi raccomando, ricordatevi il travestimento!

    [ sera del ballo ]


    Esistevano diverse regole non scritte da rispettare ad un ballo, tutti ne erano al corrente e non servivano delucidazioni a riguardo. Primo fra tutti, il vestiario. Per le signore era molto importante che la padrona di casa fosse colei da ammirare, se desiderare di essere più appariscenti poteva essere un'ottimo pretesto per confrontarsi con le altre... cercare di superare la festeggiata poteva essere una mancanza di rispetto non indifferente. D'altro canto, ad un ballo l'eleganza non era mai troppa e questo valeva anche per i signori. Nel suo caso specifico, però, lo scopo della serata non era di certo apparire, non era quel genere di scapolo a cui piaceva mettersi in mostra davanti a tutti, anzi. Il suo desiderio era incuriosire, attirare in silenzio solo gli sguardi più attenti tralasciando i frivoli. L'incognita di ciò che si nasconde nella penombra, il brivido della curiosità che si insinua silenzioso nella mente di chi sa guardare. Optò per una camicia di tessuto leggero, bianca come l'avorio, adornata da bottoni e cuciture bronzee che lasciò libere dal panciotto che così poco sopportava. Scelse una casacca adatta all'occasione, di un grigio fumo tendente al nero, decorata con arabeschi in fili più chiari che potevano risaltare ad uno sguardo attento unicamente sotto la luce di una buona candela.. o semplicemente alla giusta vicinanza. Il fazzoletto bianco al collo scelse di sistemarlo meglio in carrozza, mentre col fratello Alfred si dirigevano all'evento.
    Scelse di sfruttare al meglio delle sue possibilità la seconda delle regole non scritte, nonostante la cosa sembrasse indispettire il maggiore dei Moore vestito di tutto punto, racchiuso in un abito rosso che pareva allargare ancor di più le sue palle. La puntualità negli eventi mondani era una questione di punti di vista e di priorità: i primi ad arrivare erano gli attendenti, gli ultimi quelli da attendere. Semplice quanto veritiero. Di certo non si riteneva così importante né tanto meno sfacciato da accumulare un disastroso ritardo, ma lasciar che gli invitati si godessero una mezz'oretta di ballo senza di lui non poteva essere dannoso, anzi l'attesa non poteva che aumentare l'aspettativa. Poco prima di scendere dalla carrozza aiutò il fratello ad indossare la maschera, per poi lasciare che fosse lui a legare dietro la sua testa la propria: un mezzo viso d'avorio i cui ricami riprendevano quelli dell'abito di Alistair, coprendo l'occhio e il viso dal lato destro fino a livello delle labbra, accerchiando semplicemente il sinistro. Creava il dubbio lasciando un accenno di risposta, come se volesse farsi riconoscere ma senza privar l'altro del gioco.
    Lasciata la carrozza al ragazzotto all'ingresso, i fratelli Moore si incamminarono fianco a fianco verso l'ingresso di villa Henslowe, attirando non pochi sguardi dei presenti. Non dovevano essere in molti a quella festa a presentarsi senza accompagnatrici, per non parlare del fatto che nel loro caso si trattava di due giovani uomini che in comune avevano poco più dei lineamenti del viso - coperti dalle maschere per l'occasione. Attraversarono in silenzio bisbigli curiosi e sussurri interessati, arrivando fino allo scalone principale. Lo avrebbero sceso insieme, come sempre Alfred qualche passo avanti a lui essendo il maggiore, il pilastro della famiglia su cui dovevano concentrarsi i riflettori, mentre a lui si addiceva decisamente di più la penombra. Avvertiva chiaramente gli occhi di commensali su di loro, passo dopo passo le persone che con discrezione indicavano suo fratello aumentavano e lui, con la disinvoltura e l'ingenuità che lo contraddistinguevano, salutava ogni invitato che riconosceva presentandosi coi nominativi, rovinando così il gioco a tutti. Alfred rappresentava non solo lui, ma tutta la famiglia Moore e la loro impresa, quindi era giusto che avanzasse come uno stendardo tra le maschere... diversamente da lui. Lo lasciò andare avanti rallentando appositamente il passo, capitava di perdersi molto facilmente di vista ad un ballo quindi non sarebbe stato un problema accelerare questa separazione. Non era interessato alla folla, il gregge non era un buon luogo per trattative di affari di nessun genere, per questo motivo si diresse al tavolo delle vivande, dove si fece servire un bicchiere di vino rosso ammiccando alle proprie bottiglie ma preferendo assaggiare la concorrenza.
    La terza regola era probabilmente la più fine e scaltra, non ben chiara a tutti per il semplice fatto che la maggior parte degli invitati ad una festa sembra essere troppo cieca per accorgersene: gli sguardi. Si portò lentamente il bicchiere alle labbra umettandole appena col liquido vermiglio leggermente aspro, mentre i suoi occhi scuri scivolavano tra una maschera e l'altra. Incontrare uno sguardo non era difficile, catturarlo molto di più ed era a questo che mirava il giovane Moore. Come in una caccia silenziosa, diretto ad una preda sconosciuta che spiccasse tra quel danzare, il vorticare di bambole tutte uguali... una maschera che sapesse stuzzicare la sua curiosità.

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    William Shakespeare
    30yo - umano - drammaturgo - scheda
    La festa iniziava man mano ad adimarsi: più alto era il numero degli invitati, maggiore era l'eccitazione creata dal non sapere minimamente chi fosse il proprio vicino, o chi l'uomo affianco ad una donna… insomma, si creavano aspettativa ed una strana eccitazione - a cui William era totalmente estraneo e, soprattutto, intoccabile. Non bramava sapere chi fosse quel tizio o quell'altra - a lui interessava solo trovare il prima possibile ser Henslowe per i dovuti convenevoli.
    Il vero problema era che non sapeva come riconoscerlo: sperava avesse avuto il buon gusto di non indossare le maschere, quanto meno per accogliere i suoi ospiti… ma la sua reticenza lo aveva fatto tardare, la sua villa era già piena di invitati e probabilmente anche il padrone di casa e la consorte avevano deciso di partecipare allo stravagante "gioco".
    Roteò gli occhi, mentre cercava di farsi strada fra la gente per raggiungere il salone principale, dal quale proveniva un'allegra musica e vari rumori: doveva essere quello il fulcro della festa, un ballo mascherato, elegante ma anche caotico. Entrato nel salone, notò che era stato elegantemente allestito per lasciare quanto più spazio libero al centro della sala, mentre le pareti laterali erano coperte di tavoli e poltrone, per accogliere i commensali che si riposavano da un ballo o che preferivano le chiacchiere alle danze. Inutile dire come William non appartenesse a nessuno dei due "tipi": non amava i balli così come le chiacchiere, e cercando di passare oltre a tutto ciò cercò con lo sguardo di riconoscere volti, abiti, modi - qualunque cosa potessero tradire ser Henslowe.
    Ma nella confusione della stanza non era semplice, e William era rimasto in piedi tutto il tempo davanti all'ingresso a fissarsi attorno - coi modi impacciati e imbarazzati di chi non è affine a quel genere di eventi. Notò anche alcune occhiate, specie quando all'ennesima richiesta di passare William si arrese a mettere effettivamente piede dentro la sala, infilandosi in mezzo alla gente in una confusione soffocante.
    Cercò immediatamente di uscirne, ma riuscì solamente ad avanzare, camminando raso muro - lontano dai balli, senza nemmeno sapere dove stesse andando. L'istinto di sopravvivenza al momento gli diceva solamente "vattene", e così cercava di fare - ignorando di star solo camminando insieme ad altra gente verso l'elegante e suntuoso buffet che era stato preparato verso la fine della sala. Il lungo tavolo accoglieva pietanze di ogni genere, e camerieri pronti a versare in luccicanti calici trasparenti bevande prestigiose che davano alla testa e rendevano tutto più… leggero.
    Una frivolezza a cui solitamente William non si sarebbe mai abbandonato.
    Tuttavia giungendo nei pressi del lungo buffet, riuscì a trovare uno spazietto abbastanza isolato, e lì si fermò - cercando di sondare la situazione: era letteralmente al centro della festa, con una marea di invitati accalcati al centro della sala e molti altri ai lati di essa. Alla sua sinistra, dava sul salone l'imponente scala che portava al piano superiore… dove sperava di trovare ser Henslowe e consorte. Sullo scalone però c'erano varie coppie, e tutte mascherate: fra di esse, non riusciva a riconoscere i due padroni di casa, e quindi valutò se gettarsi nuovamente in mezzo alla folla per salire lo scalone inutilmente.
    Diamine, più stava lì, più cresceva in lui il desiderio di andarsene senza nemmeno porgere i suoi omaggi al padrone di casa. «Signore, posso offrirvi un calice?» un giovane cameriere gli si affiancò, reggendo con una sola mano un vassoio carico di calici colmi di un liquido ambrato - istintivamente ne prese uno, senza dire niente, sperando che così il ragazzo se ne andasse. Ed effettivamente fu così, ma si ritrovò con in mano un bicchiere contenente chissà quale lussuoso vizio del padrone di casa - nulla che fosse interessato a provare.
    Tuttavia il solo tenerlo in mano senza nemmeno avvicinarlo alle labbra creava in lui pensieri maligni: si sentiva costantemente osservato e giudicato in tutto ciò faceva - o non faceva. Per di più, dall'inizio della serata rimbombavano nella testa le parole di sua moglie, che continuamente lo provocava di essere troppo /rigido/, di non lasciarsi mai andare, nonostante le molte occasioni di cui godeva… a differenza di tanti altri. Probabilmente quel lungo calice avrebbe reso più di un uomo felice, sarebbe stato uno spreco e un insulto lasciarlo da qualche parte o gettarlo in qualche pianta.
    Lo fissò, valutando il da farsi, e alla fine si decise e lo portò alla bocca «oh… per Diana» il calice sbatté contro il bordo della maschera, e per poco non combinò un disastro: doveva ringraziare che nonostante la sua età i riflessi fossero ancora piuttosto buoni… evitò la tragedia, e infastidito - anche per il fatto che sentiva la fronte sudare - si levò la maschera una volta per tutte, traendo un lungo sorso.
    Mossa a dir poco suicida.
    Una donna, poco distante dal tavolo del buffet, lo notò e si avvicinò con fare civettuolo «ma!, voi siete il signor William Shakespeare?» e naturalmente quel nome attirò l'attenzione di molti altri ospiti lì vicino, che notandolo immediatamente abbandonarono le loro chiacchiere per avvicinarsi a lui, creando una piccola folla di cinque o sei persone attorno alla sua persona «ser Henslowe deve essere un vostro caro amico se siete qui!» «già… stavo giusto cercando il padrone di casa, per porgergli i miei saluti - sapreste dirmi se» «ho amato il vostro Enrico VI… una tale carica passionale, come fate?» «state preparando qualcos'altro per i teatri inglesi?»
    Le domande iniziarono ad accavallarsi, e William percepì il panico e la confusione assalirlo. Iniziò a guardarsi attorno, mentre disordinatamente cercava di calarsi la maschera sul viso - e indietreggiò, mentre malamente rispondeva a qualche domanda. Il cuore nel petto batteva ad un ritmo violento, e il fiato iniziava a mancare. Si guardò attorno, alla ricerca di una via d'uscita: dall'altra parte della sala, una porta dava sul largo terrazzo affacciato sul giardino della villa… fu come una celeste visione.
    «Perdonatemi» tagliò corto, e riuscì a svincolarsi dalla folla per immergersi in mezzo agli altri invitati, tenendo la maschera ferma sul volto. Scansando ospiti e cercando di non inciampare, finalmente William raggiunse la porta e la aprì, lanciandosi all'esterno della villa: immediatamente l'aria fredda lo investì, ridandogli vigore.
    Nessuno lo seguiva, e il terrazzo era vuoto: del resto le temperature rigide della stagione non lo rendevano un luogo adatto alla sosta, ma al momento gli sembrava una meravigliosa oasi. Si trascinò fino al balconcino, appoggiandosi al muretto e abbandonando la maschera. Finalmente respirava di nuovo - la musica ovattata e distante, l'aria fresca che accarezzava il viso e asciugava il sudore… ma soprattutto calmava il battito cardiaco.
    Potendo, sarebbe rimasto lì qualche ora - o avrebbe cercato la fuga calandosi dal balconcino e attraversando il giardino fino a raggiungere l'ingresso della villa. Per sicurezza, si sporse, cercando di calcolare la distanza - "potrei anche farcela" valutò fra sé e sé, completamente dimentico dell'attuale situazione delle sue ossa.

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    Alistair Dorian Moore
    23yo - umano - commerciante - scheda
    Quel genere di eventi, più che feste erano molto più simili a partite a scacchi, per mercanti come lui, come loro. In primo luogo, c'era la facciata: seduto a quel tavolino appartato vicino alle grandi tende rosse del balcone, riusciva a seguire con lo sguardo Alfred quel tanto che bastava per capire con chi stesse interloquendo. Difficilmente stavano insieme durante gli eventi, intrattenevano persone diverse, clienti diversi dettati soprattutto dal loro ruolo diverso nell'attività di famiglia. Si fidavano l'uno dell'altro, il maggiore aveva sempre avuto un grande carisma degno di un condottiero, un politico forse, in grado di guadagnarsi facilmente la fiducia delle persone: guardando Alfred nei suoi occhi nocciola chiari, si aveva l'impressione di parlare con un vecchio amico, qualcuno in grado di consigliare, non di raggirare. Con lui, le bisacce si aprivano al primo batter di ciglia, per pura simpatia e fiducia.
    E poi c'era lui, Dorian, il minore.
    Da dietro la maschera argentata alzò un sopracciglio, accennando un leggero sorriso quando i suoi occhi incrociarono uno sguardo fugace che in quel momento non doveva decisamente essere per lui. Il conte Sir Winghelt, un signorotto fatto solo dei soldi di famiglia, sposato giovane come tutti i figli mezzani... meglio sistemarli presto, piuttosto che rischiare. Oh, e quegli sguardi erano un bel rischio, se rivolti a qualcuno che non fosse sua moglie... qualcuno che non fosse una donna.
    Gli occhi scuri, penetranti di Dorian avevano un carisma diverso da quelli del fratello maggiore. Attiravano, intrigavano... ed i suoi clienti, nonché i suoi affari, erano di natura più intima, “carnale” si potrebbe dire. Le vendite del giovane si basavano soprattutto su scambi di pari valore, su un genere di fiducia dettata più dal ricatto, dal favore. "Elargisci favori, fai sì che chiunque sia sempre in debito con te. Ogni debito sarà potere."

    « ma!, voi siete il signor William Shakespeare? »



    Alle sue orecchie arrivò un urletto stridulo di ammirazione, di sorpresa, seguito da un vociare che difficilmente sarebbe passato inosservato. Rimase fermo al suo posto, il dolce nettare vermiglio dondolava nel calice cullato dalla sua mano destra... per poi raggiungere lentamente le sue labbra. Non era un gran consumatore di vino, più un degustatore. Preferiva apprezzarne i particolari, le note, le sensazioni... e durante una discussione, uno spettacolo come quello, preferiva di gran lunga restare in disparte ed osservare.
    Quindi, quell'uomo dall'abito elegantemente sobrio, all'apparenza così a disagio in mezzo alle sue beniamine era William Shakespeare. Il brillante, famoso scrittore drammaturgo.. Dorian alzò un sopracciglio, osservando l'uomo al centro della disputa delle gentil signore. Alto, di bella presenza, eppure c'era qualcosa che lasciava il giovane interdetto. Non c'era narcisismo nei suoi gesti, egocentrismo nelle sue parole e... diciamocela tutta, nemmeno vanità nel suo vestiario. Accerchiato da ammirazione e meraviglia, Shakespeare sembrava tutt'altro che felice di incontrare le persone a cui doveva la sua fama.
    «Perdonatemi»
    Il ragazzo faticò a trattenere un sorriso divertito. Se la stava sul serio dando a gambe.. davvero?! Con lo sguardo seguì la sagoma dell'altro che, in modo tutt'altro che inosservato, svicolò tra gli invitati e si diresse a passo spedito verso la porta a vetri accanto al tavolino occupato da lui. Scosse appena la testa, forse le voci non erano del tutto realistiche sul suo conto, si era fatto un'idea diversa del famoso drammaturgo rispetto alla scena che aveva appena visto.
    Divertito dalla situazione, prese due calici vuoti da un cameriere nei paraggi, una bottiglia di rosso tutt'altro che sconosciuta ai suoi occhi e senza batter ciglio seguì il maggiore fuori dalla sala. Bussò contro il vetro con le nocche, ma non aspettò un invito per aprire la porta e varcare la soglia del terrazzino. Socchiuse gli occhi mentre la leggera brezza gli accarezzava il viso dai lineamenti delicati, muovendo con dolcezza i suoi capelli scuri. Richiuse la porta con i fianchi, avvicinandosi in silenzio all'uomo, non riuscendo ad evitare di sorridere divertito nel vederlo sporgersi dalla balaustra. Che stesse meditando una fuga.. o un suicidio?

    « Credo esistano modi molto più semplici... e meno dolorosi. Ma se proprio ci tenete a provocarvi ferite, vi consiglierei un buon motivo per farlo.. e una buona scusa da rifilare in seguito.» Posò i bicchieri vuoti e la bottiglia sul parapetto, tra i loro corpi, sporgendosi a sua volta per controllare l'altura. Se fosse sopravvissuto, non sarebbe di certo tornato a casa con le sue gambe. Appoggiò gli avambracci alla balaustra, inclinando leggermente in avanti la schiena per rilassarsi.
    Di certo, questo sembrava il passatempo più interessante della serata.

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    William Shakespeare
    30yo - umano - drammaturgo - scheda
    Le sue idee da aspirante suicida vennero interrotte nel giro di pochi istanti da un rumore lieve, ma perfettamente udibile all'uomo – sì, l'udito ancora funzionava abbastanza bene da sentire chiaramente i rumori attorno a lui. La cosa che lo lasciò perplesso è il pensiero che qualcuno stesse bussando al vetro... mica era una porta che dava su una camera?, perché disturbarsi?
    Ignorò comunque quel rumore, sperando che così avrebbe evitato altri personaggi montati che speravano di poter scoprire chissà ché da una banalissima conversazione con lui – perché no, William non si riteneva un genio, o qualcuno illuminato improvvisamente dal canto delle muse... non era niente del genere. Certo, l'ispirazione a volte lo coglieva nei momenti meno appropriati – ma da qui a definirsi un “illuminato”... aveva sempre avuto i piedi ben piantati nel terreno, e la testa più sui libri che fra le nuvole.
    Eppure sembrava quasi che le persone attorno a lui lo vedessero come un... messia, un qualcosa di ultraterreno, perché capace di scrivere simili meraviglie – una delle formule preferite da ser Philip. William tutta quella svalutazione del genio umano non la comprendeva, e nemmeno la gradiva: credeva in Dio, ma – con tutto rispetto – l'impegno dietro il suo lavoro non era certo un miracolo. Indubbiamente doveva riconoscere che il Divino era intervenuto diverse volte in suo favore, facendogli conoscere uomini della pasta dell'Henslowe... ma da qui a dargli il merito anche del proprio genio, era fin troppo generoso.
    Dunque si ritrasse, pensando non fosse carino farsi vedere mentre cercava di calarsi dal terrazzo, e recuperando un po' di contegno si sistemò la giacca – pulendo le spalle – e si voltò verso il nuovo arrivato. Già, aver ignorato il bussare non aveva fermato il giovane avventore, che immediatamente catturò il suo sguardo quando William decise di ricambiare lo sguardo che avvertiva correre lungo tutta la schiena.

    «Credo esistano modi molto più semplici... e meno dolorosi. Ma se proprio ci tenete a procurarvi ferite, vi consiglierei un buon motivo per farlo... e una buona scusa da rifilare in seguito» «permettetemi, ma se davvero credete sia questo il mio scopo, allora penso non mi conosciate affatto» rispose con altrettanta presunzione – forse addirittura un po' più marcata di quella che gli aveva riservato il ragazzino. Glielo avevano sempre detto, a volte – se punto sul vivo – aveva dei modi alquanto scorbutici, poco da lord.
    Cercò di ignorare quei rimproveri, perché il viso del giovane era decisamente più interessante di tutte le maschere e le persone che vi si nascondevano sotto: aveva dei tratti adulti ma addolciti da un viso quasi femmineo, doveva essere molto giovane... quanti anni avrebbe potuto avere?, una ventina? Forse nemmeno la maggior età... In ogni caso i suoi occhi erano lo specchio dell'avventatezza giovanile, e il sorriso sulle labbra aveva la maldicenza dei ragazzi di quegli anni. Tutti così spregiudicati e malevoli – ai suoi tempi non si sarebbe mai osato rivolgere ad un uomo più maturo in quel modo.
    Tuttavia per ognuno di quei tratti criticabili, William vedeva un risultato armonioso, facendo apparire il giovane di fronte a sé come un bel ritratto di un personaggio ideale delle sue opere. Avrebbe potuto trarne ispirazione, se solo quell'occasione di incontro non fosse alquanto sgradevole – visto che sì, William avrebbe preferito farsi un volo di qualche metro piuttosto che rientrare.

    Nonostante la prima impressione fosse stata negativa – la sfrontatezza non era mai un aspetto positivo della gioventù – il giovane si era premunito di portare con sé del vino, e questo era apprezzabile. Il drammaturgo non se ne intendeva di alcol, perché non era avvezzo a farne uso – un vizio, l'ubriachezza, sempre criticato – ma afferrò la bottiglia e iniziò a servire nei due calici che lo accompagnavano. Afferrò poi il proprio, contemplando il colore scuro del liquido «immagino che questo sia il frutto di un'illecita appropriazione» osò, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.
    Lo aveva già detto, no?, la sfrontatezza dei giovani.
    Levò appena il calice all'altezza del volto, in un brindisi discreto «ma come si suol dire... non c'è roba migliore di quella altrui» e dopo aver lanciato un'occhiata al ragazzo, portò il calice alle labbra e ne bevve un lungo sorso. Scoprì di aver sete, molto sete, probabilmente a causa del caldo e dell'agitazione provati fino a pochi attimi prima. Il vino dissetava da un lato, ma scaldava – e in mezzo al vento freddo non dispiaceva quel calore lungo la schiena. Al contrario, bevve tutto il calice di gusto, beandosi del tepore all'altezza del petto.
    Si voltò a guardare il giovane, appoggiato al parapetto, e non poté chiedersi cosa volesse, dal momento che non aveva più aperto bocca «e dunque, cosa vi porta qua fuori al freddo, in compagnia di un vecchio?»

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    Alistair Dorian Moore
    23yo - umano - commerciante - scheda
    C'era odore di pioggia nell'aria. Non ci aveva fatto caso subito, d'altro canto non era uscito in veranda per ammirare il panorama, ma quando una leggera brezza accarezzò i suoi capelli scuri ne riconobbe le note umide e fresche. Fin da bambino, nottate di pioggia e persino di tempesta avevano cullato le sue notti, rilassandone il sonno... come poteva non apprezzarne l'odore. Lasciando che i capelli in balia di effimere onde gli incorniciassero il viso, riportò l'attenzione sull'uomo accanto a lui che in prima battuta sembrava non aver prestato caso alla sua intromissione.

    «Permettetemi, ma se davvero credete sia questo il mio scopo, allora penso non mi conosciate affatto.»
    "Sir William Shakespeare". Aveva assistito a molte rappresentazioni che portavano la firma di quell'uomo, tenuto tra le mani diverse volte il suo ingegno e sfogliando le pagine non si era mai chiesto come potesse essere dal vivo. Di che sfumatura potessero essere i suoi occhi, di quale profondità i calli sulle sue dita, a cosa potesse alludere il suo dopobarba... piuttosto banali, tutte domande che certamente frullavano tra i ricci delle signore che lo avevano costretto a rifugiarsi in veranda. Alla risposta dello scrittore, Dorian alzò lentamente lo sguardo sul suo viso, osservandone i lineamenti e appoggiandosi con un pizzico di avventatezza sugli occhi dell'uomo, specchiandosi nelle sue iridi senza arroganza, un gesto sincero e privo di fronzoli.
    «È la verità, non la conosco affatto. Conoscere un nome è ben altra cosa dal conoscerne il proprietario.» Le sue labbra si stesero in un leggero sorriso. Si era chiesto che cosa avessero visto i suoi occhi, che potessero creare la scintilla nella sua mente, quanta carta e quanto inchiostro avessero assaporato le sue dita prima di riuscire ad esprimere ciò che i suoi pensieri gli proponevano... se si dimenticasse di radersi in quei momenti in cui l'immaginazione prendeva il sopravvento sull'uomo di classe che doveva mostrarsi agli altri.

    Che di primo acchito la sua presenza li fosse tutt'altro che gradita lo aveva notato, intuibile soprattutto da come lo scrittore aveva inizialmente prestato un'attenzione pressoché nulla nei suoi confronti, per poi zittirlo con quella risposta piuttosto acida. Accadeva spesso in realtà che gli venissero rivolte parole con tono vezzeggiativo se non addirittura mancanti di rispetto, in riferimento alla sua giovane età - a quanto pareva era luogo comune che tutti i suoi coetanei fossero degli arrivisti irrispettosi dell'anzianità altrui e indisponenti. Dal canto suo, aveva appreso col tempo quanto col rispetto e le buone maniere le persone si potessero sentire a proprio agio, arrivando talvolta alla confidenza, cosa da non sottovalutare nel suo lavoro di venditore... ancor di più nei suoi passatempi "impegnativi".
    «Immagino che questo sia il frutto di un'illecita appropriazione... ma come si suol dire... non c'è roba migliore di quella altrui.»
    Alzò un sopracciglio alla sua espressione irriverente, gli stava per caso dando del ladro? Appoggiandolo, oltretutto. La fossetta sul mento di Doria si fece leggermente più marcata, segno che quel sorriso appena accennato sul suo visto stava diventando più profondo. Lasciò che il maggiore servisse il vino per entrambi, tenendo tra le dita sottili lo stelo del proprio calice. La bevanda color del sangue prese a roteare lentamente lungo le pareti del vetro fino, mossa dal gesto delicato del suo polso.
    Era interessante osservare le persone in un ambiente a loro sconosciuto, intrattenersi con una persona mai vista prima non era cosa facile per la maggior parte della signoria, abituata ad essere riconosciuta e riverita al'unico suono del nome della propria casata. Dorian non si era presentato, ma anche se lo avesse fatto lo scrittore avrebbe avuto unicamente un nome sul palmo della sua mano.. vuoto, senza nemmeno le mosche. «Propongo di brindare alle cose altrui, allora... alle terrazze con una bella vista... e agli sconosciuti con un buon vino.» Avvicinò piano il bicchiere al suo per far tintinnare il vetro sottile, portandoselo alle labbra per berne un sorso. Si bagnò le labbra del rosso nettare, mentre osservava William bere con gusto il primo calice. Se non era una persona avvezza a bere, doveva intuire che avesse sete... e che di lì a poco sarebbe stato decisamente ubriaco.

    «e dunque, cosa vi porta qua fuori al freddo, in compagnia di un vecchio?»
    Notando il calice vuoto del compagno, non esitò a servirlo lui questa volta, versando il vino dalla bottiglia roteandola per non creare schizzi, in un'eleganza tipica di chi quel gesto lo ripete ogni giorno, facendolo diventare fluido e semplice. Alzò lo sguardo verso la porta finestra, unico collegamento rimasto tra noi e una sala in preda ai festeggiamenti, coperta appena da un tendaggio a cui nessuno pareva più far caso. Bevve lentamente un altro sorso di vino, bagnandosi le labbra con la punta della lingua. Chissà se suoi fratello si era già reso conto di non averlo più al suo fianco... e quando avrebbe iniziato a pensare che fosse in giro a divertirsi.
    «Potrei dirvi il cielo stellato o la brezza autunnale... o l'interesse nella compagnia di un vecchio. A voi la scelta su cosa credere, messere.» Alzando il calice verso di lui, punto i suoi occhi scuri in quelli dello scrittore. Non c'era mancanza di rispetto o arroganza nel suo sguardo, piuttosto sincera curiosità e interesse. «e dunque. cosa ha portato voi qua fuori al freddo, nel tentativo di abbandonare la nave prima della sua dipartita?»


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    William Shakespeare
    30yo - umano - drammaturgo - scheda
    Non era il tipo di serata a cui William aveva puntato appena messo piede lì dentro, non poteva mentire – il suo tipo di serata ideale era a letto, tranquillo, con un bicchiere di tè caldo e il fuoco scoppiettante nel cammino – ma era comunque migliore di quello che aveva rischiato di dover sopportare: folle di opportunisti che speravano di accaparrarsi un po' del suo tempo – consumandolo con occhi, mani e parole... per lo più superficiali e noiose. Niente per cui Willam smaniasse di rimanere lì.
    Il fresco era sì rigenerante, ma il calore del liquido alcolico – a cui non era affatto avvezzo – scaldava il petto, calmava e faceva rilassare i nervi a fior di pelle, per le troppe persone fra cui aveva rischiato di restare bloccato. Ora era lì, con un calice fra le dita – a riflettere su come sfuggire senza dare troppo nell'occhio... cosa che ormai appariva impossibile, specie dovendo affrontare il soggiorno affollato. Nemmeno indossare una maschera lo avrebbe salvato da quella tragedia.
    Osservò il ragazzo: avrebbe potuto proporre uno scambio di maschere? Troppo indiscreto, andava riconosciuto – non si sarebbe mai concesso una simile avventatezza, pur potendo permettersi il mondo solo sfoggiando il proprio nome.
    Un nome indubbiamente famoso – ma appunto solo un nome, nulla che dicesse veramente qualcosa sul suo proprietario. Al di fuori dell'etimologia di quella parola, William Shakespeare poteva essere lui, o quel ragazzo, o un altro uomo ancora: ma l'uomo vestito di tutto punto, con le gote ancora arrossate per lo sforzo di sfuggire alla gente, e il genio nella testa che fremeva per ritrovare la solitudine e tornare tranquillo a lavorare, era solo uno.

    Il ragazzo era una compagnia che – nonostante il primo approccio – appariva discreta e piacevole, aveva avuto davvero un'ottima idea, presentarsi con una bottiglia era un'accortezza apprezzabile... indipendentemente – agli occhi di William – di come questa appropriazione fosse avvenuta. «propongo di brindare alle cose altrui, allora... alle terrazze con una bella vista... e agli sconosciuti con un buon vino» aveva inaugurato un brindisi irriverente, a cui William aveva risposto con un sorriso e ingoiando di gusto il contenuto del proprio calice.
    Nonostante il sorso deciso, William non era un gran bevitore: ma il freddo, la stanchezza e la sete – non era riuscito a bearsi delle squisitezze del banchetto, sfortunatamente – avevano mosso il braccio e trattenuto il bicchiere alle labbra più del dovuto. Ora sì che sentiva un piacevole calore correre lungo tutto il corpo... si sentiva improvvisamente /carico/, riscaldato e sveglio. Forse avrebbe potuto saltare il parapetto e raggiungere il piano terra in pochi secondi... sfuggendo così dal mondo alle sue spalle.
    Tuttavia non lo fece. Non ci provò nemmeno, continuando a guardare la notte davanti a lui con sguardo quasi nostalgico: il bere riportava a galla ricordi lontani, memorie che a volte temeva perdute... l'avanzare degli anni spaventava tutti, e nemmeno un uomo saggio e paziente come lui poteva sfuggire a quel pensiero. Non era tanto la morte a intimorirlo, quanto il pensiero di... perdere il suo genio, le sue memorie, i nomi, che pur essendo così slegati alla realtà erano comunque un qualcosa di importante per la sua vita – Anne, John, Susanna, Hamnet, Judit... tutti nomi che per lui era volti, persone, qualcosa senza cui non avrebbe potuto vivere.

    Non se ne andò per molti motivi, ma indubbiamente il più importante era la sua compagnia: sarebbe stato scortese andarsene così, e in fondo il ragazzo era cordiale «potrei dirvi il cielo stellato o la brezza autunnale... l'interesse nella compagnia di un vecchio. A voi la scelta su cosa credere, messere» William non poté che sorridere, guardando ora svogliatamente nel calice «ai miei tempi la compagnia dei vecchi non era neanche lontanamente ricercata... sono cambiati così tanto i modi dei giovani?» azzardò divertito, palesando in quel modo come sì, fosse un vecchio – ma non uno sciocco. «e dunque, cosa ha portato voi qua fuori al freddo, nel tentativo di abbandonare la nave prima della sua dipartita?» si voltò verso il ragazzo, ricambiando il suo sguardo magnetico col proprio vivido, ma indubbiamente stanco – poi allargò appena il sorriso, alzando un angolo delle labbra «dunque non è apparsa come la fuga discreta a cui puntavo...» sospirò, sperando che pochi altri avessero notato la sua fretta.
    «a volte non è semplice essere qualcuno» azzardò allora, sentendo che poteva aver dato una brutta impressione di se stesso. Non voleva apparire scontroso o vanesio... ma insomma, sia il suo carattere introverso, sia la sua età che lo portava a prediligere la calma e la compagnia di pochi erano un ostacolo alle sue apparizioni pubbliche – che se fosse stato per lui sarebbe avvenute da un alto balcone molto piccolo, lontano da qualunque altro essere vivente... esattamente come la Regina. Era un sogno megalomane? Indubbiamente... ma l'ultima cosa che avrebbero potuto strappargli era la capacità di sognare, immaginare, inventare. Si versò un altro sorso, scaldando il petto come le fiamme di un camino «mentre voi... che qualcuno siete?» domandò, un po' per curiosità un po' per cortesia, squadrandolo attentamente «perché il vostro volto mi è nuovo, avete modi nobili, cortesi, abiti eleganti ma qualcosa nella vostra sfrontatezza mi confonde... non è fra le usanze degli aristocratici londinesi» e agitò il calice, alludendo all'illecita appropriazione. Non che lui facesse parte di quella fetta di popolazione... ma ormai aveva imparato a riconoscerli, e per questo motivo faticava ad inquadrare il ragazzo in una categoria sociale – cosa che, solitamente, gli riusciva alla perfezione.

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    Alistair Dorian Moore
    23yo - umano - commerciante - scheda
    Tra le mura domestiche, così come tra le schiere dell'impero di famiglia, i Moore possedevano tutti un ruolo ben preciso e designato dalla nascita. Il vecchio d'altro canto aveva sempre avuto la fama di essere un ottimo stratega, non avrebbe mai lasciato nulla al caso partendo proprio dall'istruzione e dall'indirizzare al meglio la vita dei figli, in ogni ambito che gli fosse possibile controllare. Alexander era il primogenito, orgoglio di famiglia, portavoce del futuro della Casa e tutto quanto potesse significare per il padre ciò che in realtà erano semplicemente un paio d'anni di vecchiaia in più. E proprio grazie a questi aveva ricevuto le migliori lezioni di dizione, disciplina, strategia d'impresa... lezioni che lo portavano tutt'ora ad indugiare goffamente in presenza di personalità autorevoli cariche di ego. Quello era stato il patto senza firma tra fratelli, per le cene di rappresentanza: Dorian poteva concedersi il suo tempo, i suoi svaghi ed il suo diletto, a patto che quando fosse necessario aiutasse il maggiore con gli affari di famiglia. Un modo delicato per dire: "Fa ciò che preferisci, ma quando mi vedi in difficoltà aiutami, te ne prego.".
    Lo stava osservando anche in quel momento, gli occhi scuri che scivolavano oltre la finestra per tenere d'occhio l'orgoglio di famiglia. Una cosa di Alexander che apprezzava tantissimo era la sua umiltà, ammettere che peccasse in cose dove Dorian era evidentemente più bravo e viceversa li aveva sempre fatti lavorare bene insieme - al contrario della visione squadrata e autoritaria del padre.

    Aveva di meglio da fare però, in quel momento, che osservare il fratello alle prese con le avance di una duchessa zitella col doppio dei suoi anni - scena discretamente divertente a dirla tutta. Stava ancora sorseggiando il vino nel suo calice, dopo aver proposto il brindisi per alleggerire un po' l'atmosfera, notando con piacere che il suo compagno di terrazza - se così si poteva chiamare - aveva già esaurito ogni goccia di liquido fruttato. Non doveva essere un bevitore assiduo, il drammaturgo con cui stava conversando doveva avere altri piaceri nella sua vita.. e più lo osservava, più Dorian continuava a chiedersi cosa stesse smuovendo maggiormente il suo interesse: i suoi piaceri... o la sua vita.
    «Ai miei tempi la compagnia dei vecchi non era neanche lontanamente ricercata... sono cambiati così tanto i modi dei giovani?»
    Era sempre stato un animo molto curioso il suo - sfrontatezza da limare, a detta del padre - caratteristica che lo aveva portato a voler scoprire sempre di più su ogni cosa che stuzzicasse il suo interesse, che fosse il cielo stellato, la chimica dell'oppio, una lingua straniera con le sue usanze... o uno sconosciuto. Non era facile suscitare in lui interesse, aveva sempre avuto gusti difficili da carpire, forse perchè dovevano poco ai piaceri carnali, che fosse uomo o donna. I piaceri con un uomo, poi.. erano su un livello del tutto diverso. L'approccio, la seduzione, la curiosità, l'interesse... non vi era spazio per le frivolezze delle signore, ma il desiderare il proibito poteva accendere tutt'altri fuochi.
    «Dipende tutto da che genere di bellezza si cerchi.. Molte cose belle sfioriscono in poco, altre vengono scolpite e nutrite col passare degli anni.» Bevve un altro sorso di vino rosso, lasciando il suo compagno a rimuginare da sé sulle sue parole, per qualche istante. «C'è chi cerca la bellezza nel potere, nel denaro, in un buon vino.. nel corpo.. e chi la cerca in una mente raffinata e sapiente. Lei invece, posso chiedervi dove la cercate, messere?» Alludere senza forzare, sfiorando come una piuma la malizia dell'altro affinché conducesse da sé il filo dei pensieri, abile con le parole tanto quanto coi gesti.

    «Dunque non è apparsa come la fuga discreta a cui puntavo... A volte non è semplice essere qualcuno»
    Sir Shakespeare non sembrava a suo agio con la moltitudine. Era qualcosa che il giovane aveva avuto modo di notare in diverse menti erudite, dove il loro genio non cercava apprezzamenti da altri, o mdi per nutrire la sua vanità. Erano rare le personalità che non sfoggiassero un ego spropositato, sfruttando un carisma e un fascino che spesso unicamente loro credevano di avere, il più delle volte effimero e futile come soldi o vacue ricchezze.
    E di certo non era a quel genere di uomini che Dorian era interessato. Da ottimo stratega sapeva cogliere il meglio per se stesso da ogni conoscenza, sfruttando ogni leva che fosse in grado di usare. Leve che spesso dimostravano la bassezza della persona che aveva davanti: chi scambiava una notte con contratti di mercato o era uno stolto o dava più importanza ad un momento di torpore che ad un tassello per il futuro. Probabilmente lui stesso rientrava nella seconda categoria, era tra i primi a non negare mai a se stesso quell'alito di vita che solo la passione poteva dare, ma gli affari erano cosa del tutto diversa.

    «Mentre voi... che qualcuno siete? [...] Perché il vostro volto mi è nuovo, avete modi nobili, cortesi, abiti eleganti ma qualcosa nella vostra sfrontatezza mi confonde... non è fra le usanze degli aristocratici londinesi»
    Accennò un sorriso a quella sua domanda, un modo interessante per chiedergli chi fosse, sia che tipo di persona fosse nel senso più generico, che.. beh, non era sua usanza presentarsi, per lo meno non subito. «Vedete.. uno degli aspetti di queste feste in maschera che preferisco, sono proprio le maschere.» Si portò la mano libera al volto, iniziando a percorrere la mandibola destra priva di maschera con la punta delle dita, risalendo fino allo zigomo dove incontrò lo spessore. Il bordo argentato, poi la placcatura nera fin sotto l'occhio. Fece il gesto di toglierla, alzandola di poco lasciando appena scoperto lo zigomo, ma si interruppe spostando lo sguardo su quello del suo interlocutore. « Le indossiamo ogni giorno, senza rendercene conto. Eppure all'improvviso, in una sola serata diventa così importante chi vi si nasconde sotto... Chissà che maschera state indossando ora, Sir Shakespeare. »
    Si versò un altro bicchiere di vino, dondolando appena il calice tra le dita per poi berne un sorso. Stava rinfrescando, probabilmente quella sera avrebbe piovuto. « Forse anche la mia sfrontatezza fa parte della maschera della serata.. o forse no... è difficile conoscere una persona senza averne visto le sfaccettature dell'animo. Potrete deciderlo solo in futuro, che qualcuno sono... messere.»



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    William Shakespeare
    30yo - umano - drammaturgo - scheda
    Il giovane era stato sfrontato, indubbiamente, in un modo che solo un uomo della sua età – e della sua educazione – avrebbe potuto notare… ma aveva un qualcosa di intrigante, quel genere di /caratteristica/ che non era facile riconoscere nell’immediato, ma che aveva il potere di incuriosire un uomo come lui, un artista – e più nello specifico, un drammaturgo, che da sempre lavorava con le maschere e le persone… che forse ad un primo sguardo potevano sembrare la stessa cosa, ma un occhio esperto sapeva bene come distinguerle.
    Forse sarebbe stato un interesse momentaneo, destinato a consumarsi come una fiamma… o forse sarebbe durato di più, non aveva modo di prevederlo William, lo avrebbe accettato senza alcun rimpianto. Lo aveva provocato apposta, forse per farlo allontanare – o forse, intimamente, per testarne il vero interesse, e il rispondere del ragazzo, quel «dipende tutto da che genere di bellezza si cerchi…Molte cose belle sfioriscono in poco, altre vengono scolpite e nutrite col passare degli anni» lo lasciò interdetto ad osservarlo, sorpreso da una tale profondità. Solitamente i ragazzi di quegli anni non si curavano troppo di quei discorsi, e lui stesso era stato così un tempo – era quel genere di ragionamento che seguiva l’anzianità, l’aver avuto più esperienze deludenti dalla vita… nulla che augurava, in ogni caso, ad un ragazzo così giovane.
    Sospirò, alzando il calice come ad annuire di fronte a quell’affermazione. Aveva indubbiamente ragione, per quanto William faticasse a trasporre quella poesia su di sé, a sentirsi in qualche modo “elogiato”. Non era mai stato molto bravo ad accogliere i complimenti e l’interesse altrui, e forse per questa ragione faticava a stare in mezzo alle persone, ora che tutte a Londra sembravano ossessionate.
    «C’è chi cerca la bellezza nel potere, nel denaro, in un buon vivo… nel corpo… e chi la cerca in una mente raffinata e sapiente. Lei invece, posso chiedervi dove la cercate, messere?» quella domanda giunse inaspettata, perché non avrebbe mai pensato che il ragazzo si sarebbe spinto così tanto in fondo da voler indagare la profondità di uno degli uomini più celebri del momento. William sospirò, pensando fosse il caso comunque di dargli una risposta sincera «immagino nelle storie» mormorò con un sorriso, senza guardarlo negli occhi. Non era facile rispondere, perché William aveva sempre amato scrivere, dare forma alle storie della sua testa… ma in quel momento, l’unica cosa che ambiva più di tutte, era la solitudine. Sembrava strano da dire, ma certe sere era così… difficile, per lui, essere William Shakespeare, che avrebbe volentieri abbandonato tutta quella celebrità per tornare alle origini.
    Dopo questo discorso sulla bellezza, William era più che mai incuriosito dalla figura al suo fianco, tanto da scrutarlo in attesa di risposte. Non gli sarebbe bastato un nome o un volto, no, in quel momento avrebbe voluto sondare la sua anima come aveva sempre fatto con le sue creature, i suoi personaggi… per cavarne la meraviglia, e anche l’orribile. Non era solo più questione di presentazioni – il giovane aveva tutta l’attenzione del vecchio drammaturgo.
    «Vedete.. uno degli aspetti di queste feste in maschera che preferisco, sono proprio le maschere. Le indossiamo ogni giorno, senza rendercene conto. Eppure all'improvviso, in una sola serata diventa così importante chi vi si nasconde sotto... Chissà che maschera state indossando ora, Sir Shakespeare.»
    Continuò a fissarlo con interesse, intrigato dallo strano gioco che sembrava aver iniziato. Non aveva idea di dove volesse andare a parare con quel discorso, o con quei gesti, ma William non era neanche così sicuro di voler davvero sapere cosa vi fosse dietro quella maschera. Non era quello l’importante, non era ciò che aveva cercato… eppure aveva sempre vissuto di volti e di maschere, il suo interesse stesso nei confronti di quel ragazzo aveva tutt’altro significato. Si lasciò sfuggire un sorriso, a quella insinuazione «come potete notare, non indosso maschere ora – la mia finzione è morta col suo abbandono» non aveva rotto neanche molto, considerato che nell’immediato era stato riconosciuto. Non esistevano maschere capaci di nascondere uno come lui, che ne sfoggiava pur sempre una in fronte alla gente.
    «Forse anche la mia sfrontatezza fa parte della maschera della serata.. o forse no... è difficile conoscere una persona senza averne visto le sfaccettature dell'animo. Potrete deciderlo solo in futuro, che qualcuno sono... messere.»
    Sospirò dunque, ben conscio che non avrebbe avuto la sua risposta quella sera. Non era nemmeno sicuro che sarebbe arrivata nei giorni a seguire, ma non era comunque tardi per fare un tentativo «sapete dove trovarmi, quando sarà ora di calarsi la maschera» mormorò, fissando intensamente gli occhi dietro i ghirigori colorati del suo falso volto. Si girò poi, ad osservare il cielo plumbeo, mentre una leggera brezza si alzava preannunciando l’arrivo di un classico temporale londinese. Finì il suo calice, sospirò e riprese in mano la propria maschera «sarà ora che mi avvii, non amo viaggiare nel cuore della notte e con la pioggia» per poi abbandonare il bordo del terrazzo e tornare verso la porta «vi ringrazio per la compagnia, passate una buona serata» e chinando il capo in un cenno di saluto, rientrò dentro la sala. Il calore, la musica, il chiasso lo colsero all’improvviso: fece in tempo a indossare la maschera e a scivolare per le grandi sale della casa senza dare troppo nell’occhio… fino a fuori, nell’ampio cortile dove le carrozze aspettavano i loro padroni.
    Salì sulla propria, e si guardò un’ultima volta indietro, verso quel terrazzo, decisamente troppo alto per tentare una fuga improvvisa. Sorrise, e impartendo i soliti ordini il cocchiere guidò i cavalli al trotto fuori dai cancelli di villa Henslowe.


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